lunedì 10 novembre 2014

LISBON STORY

Part. 2: O FRANZA O SPAGNA

"E assim cantai tambm
como eu sempre cantei
Cantai o Amor do Mundo
e tudo o que est bem
Cantai a viva voz
pela terra inteira
E assim se ensina a Paz
da melhor maneira."
Teresa Salgueiro canta “Ainda”, colonna sonora del film di Wim Wenders Lisbon Story e la sua voce carica di saudade, fado, oceano e occhi ambrati ci accompagna verso la frontiera con la Spagna.
C’è solo la strada, il parabrezza di Nema Problema, i paesaggi che cambiano, la radio che suona, il tempo che cambia (e passa). Viaggio da est a ovest, ennesimo refrain, in cerca di qualcosa, qualcuno, un luogo dovunque; spazio da vivere, tempo da esercitare, corpo alla ricerca di dimensioni diverse; e poi ancora sulla strada, prima che ‘gli angeli’ di Wenders mi rapiscano nella malinconia di un tramonto sui Pirenei e da qui, fino alla fine del mondo. Non a caso andiamo a Lisbona, città di mare, porta sul mondo, traccia di un pennello surrealista, transito di verità e sogni di cui non conosciamo altro che la loro illusione.  A Lisbona dove “nella piena luce del giorno anche i suoni splendono”, la città della luce bianca aspetta sui marciapiedi lastricati le nostre ombre come corpi di linee aperte su una tela incompiuta.
Avvicinandoci ai Pirenei facciamo tappa a Narbonne, l’antica Narbona per visitare la sua cattedrale. Secondo una tradizione, attestata già all'epoca di Gregorio di Tours (fine VI secolo), la chiesa di Narbona fu fondata verso la metà del III secolo da san Paolo, evangelizzatore della regione. Solo più tardi, attorno al IX secolo, venne qualificato come discepolo degli apostoli e identificato con il proconsole Sergio Paolo di cui parlano gli Atti degli Apostoli. Dopo vari eventi la cattedrale carolingia, dedicata a due santi di origine spagnola, Giusto e Pastore, fu ricostruita dal vescovo san Teodardo nella seconda metà del IX secolo e completamente riedificata a partire dal XIII secolo.
Continuiamo passando per Carcassonne, città le cui prime tracce di insediamento sono state datate al 3500 a.C. Carcassonne divenne famosa per il suo ruolo nella Crociata albigese, quando la città era una roccaforte dei Catari francesi. Nell'agosto 1209, l'esercito crociato di Simone di Montfort costrinse i cittadini alla resa. Egli ampliò le fortificazioni e Carcassonne divenne una cittadella di frontiera tra Francia e Aragona.
Alla fine la cittadella fortificata di Carcassonne cadde in rovina e il suo restauro, voluto a gran voce dai suoi abitanti, costituisce un caso di studio nell'ambito dei corsi di restauro; l’architetto Viollet-le-Duc sintetizzo così il suo approccio ai lavori di restauro del castello: "Restaurare un edificio, non è solo mantenerlo, ripararlo, o ricostruirlo, è riportarlo ad una condizione completa che potrebbe non essere mai esistita".
Prendiamo una stradina che sale sui Pirenei, mi hanno sempre affascinato queste antiche montagne, questa volta che non c’è fretta, come mai dovrebbe essercene in un viaggio, dedicherò alcuni giorni a visitarle con più attenzione rispetto alle altre volte che mi è capitato di andare nella penisola iberica.
Ci fermiamo a dormire nei pressi di Niaux, dove domani visiterò ( Smilla purtroppo non può ) le grotte con le pitture rupestri risalenti a 12.000 anni fa. Niaux, la più grande grotta rupestre d’Europa con quella di Lascaux, è famosa soprattutto per la sua “Sala nera” dove si animano centinaia di bisonti, cervi, cavalli. Nelle grotte , a quanto pare, gli uomini del Paleolitico vivevano nella parte più esterna e più calda (meno fredda) delle caverne mentre si addentravano per lo scosceso cammino di corridoi e cunicoli, fra concrezioni lucenti e stalattiti, alla luce di torce, fino ad anfratti più spaziosi, solo per celebrare qualche sorta di cerimonia collettiva religiosa o rituale.
Proprio in questi saloni naturali e impervi, i pittori preistorici, per loro iniziativa o incaricati dagli sciamani, eseguivano le loro opere. Con ogni probabilità le pitture erano propedeutiche alla caccia più che espressione di una vena artistica eppure mostrano un modo di sentire, una fantasia, un gusto del bello che hanno molto da condividere con la concezione dell’arte che abbiamo oggi. Seguire il loro stesso percorso, con la luce fioca delle proprie lampade e raggiungere la visione delle bellissime pitture compiute quindici-ventimila anni fa appare come una formidabile contraddizione, un segno della dissociazione evolutiva della mente umana ed è un’emozione completamente diversa che guardare riproduzioni. Queste straordinarie creazioni di uomini che usavano solo pietre scheggiate come utensili e armi, ma già avevano questa sensibilità poetica sono quasi tutte solo profilate, in ogni modo soltanto nere; non sono ricche di colore come quelle dei bisonti e dei cervi di Altamira. A Niaux, vi sono tracce di rosso solo su una roccia cento metri prima della sala principale, in una rappresentazione di grafismo astratto misterioso e certo espressivo di qualche volontà comunicativa, che potrebbe essere un prodromo o abbozzo o tentativo di scrittura.
-Questa notte ho sognato che rincorrevo una mandria di uri, gli antichi buoi preistorici, e nel rincorrerli ringhiavo e sbuffavo in gola, ha detto l’umano. Mi ha fatto una testa tanto con le pitture rupestri che ha visto nelle grotte. Io non ci sono potuta andare, cani non ammessi, e sono rimasta con Madame Bonnet, la proprietaria della pensione dove abbiamo alloggiato. Siamo andate in paese a fare la spesa e poi in un cafè. Tutti erano molto gentili, mi hanno coccolato e chiedevano a Madame se ero il loro nuovo cane: “C'est votre nouveau chien Madame Bonnet? Très belle: noir avec une tache blanche!”
Quando lui ( l’uomo) è tornato ha cominciato a raccontarmi di tutte le meraviglie che aveva visto e io all’inizio facevo un po’ l’offesa, ma poi ho ascoltato tutti i racconti e mi sono addormentata con la sua voce che parlava di cervi, cinghiali, uomini della caverne…-
Tarbes, Pau, Bayonne, Biarritz, l’oceano Atlantico e poi la frontiera con tutti i negozi di paccottiglia spagnoleggiante “Made in China”. Siamo nel Pais Vasco, ongi etorri, benvenuto, indica un cartello nelle vicinanze di Donostia (San Sebastian).
Questa lingua affascinante, difficilissima che è il basco, è una lingua ergativo-assolutiva, cioè mantiene un'equivalenza tra l'oggetto di un verbo transitivo e il soggetto di un verbo intransitivo, e tratta il soggetto, meglio definito come agente, di un verbo transitivo in maniera differente. Questo contrasta con le lingue nominativo-accusative (come l'italiano, ma più evidente in latino), dove il soggetto di un verbo transitivo e quello di un verbo intransitivo sono trattati allo stesso modo (spesso sotto il caso nominativo) e contrastano con l'oggetto del verbo transitivo (spesso sotto il caso accusativo). In questo si differenzia da tutte le lingue indoeuropee occidentali (tutte lingue nominativo-accusative). I linguisti hanno provato a ricostruire una lingua proto-basca per mezzo della tecnica conosciuta come ricostruzione interna, ma non è stata ancora scoperta la sua origine e per questo viene considerata una lingua isolata, vale a dire una lingua che non è imparentata con nessun'altra lingua. Il lessico basco è costituito dalla maggior parte di parole di origine sconosciuta, ma anche da prestiti linguistici dai vicini: possiede parole derivanti dal latino, dallo spagnolo e dal guascone.
Ho conosciuto dei baschi grazie all’ amico, nonché compagno anarchico, Guido Vidoni che da anni si occupa di prigionieri politici baschi, di storia e tradizioni di questa terra e di altre cose legate alla particolarità di queste genti. Così qualche vocabolo lo ricordo e ne approfitto quando mi fermo per un caffè vicino a Bilbo (Bilbao, no Baggins!).
Purtroppo il Paese Basco, che vive la propria diversità dagli spagnoli con orgoglio, si uniforma alle consuetudini iberiche per quanto riguarda l’accesso dei cani nei luoghi pubblici ( no se puede!) e così la tenda si riconferma preziosa dimora per la notte.
- El perro no puede entrar.
-Porque?-
-Debido a que la ley lo prohíbe por razones de higiene.-
-Creo que usted consigue los perros porque eres un puto especista, sólo ve lo que se hace a los toros.-
-Ustedes, los italianos son siempre los mismos provocadores, volver de donde vienes!-
-Pero vattelo a buscar en el culo, pedazo de mierda!-
-Questo è quello che avrei detto se sapessi parlare come gli umani! Non è possibile che nel III millennio questi testoni di spagnoli facciano ancora queste commedie per far entrare i cani nei luoghi pubblici. L’uomo si è molto arrabbiato e ha detto delle cose che non ho capito bene al malcapitato gestore dell’albergo, tipo “ de puta madre, mierda, tonto” e altre cose.
Comunque, con le pive nel sacco siamo andati alla ricerca di un camping dove , perlomeno, i cani sono ammessi.
Al mattino, ancora un po’ incazzati, decidiamo di lasciare la Spagna al suo destino e di fare tutta una tirata fino a dopo il confine portoghese. Sono circa 700 chilometri, quindi imbocchiamo l’autostrada che passando per Valladolid e Salamanca ci porta a destinazione in meno di sette ore. Nema Problema ha fatto faville con punte di velocità che sfioravano i centosettanta!
Ora siamo in Portogallo e cercheremo riparo per la notte in questo bel paesino tutto di case colorate.-
L’abecedario di Gilles Deleuze alla voce A / Animale.
“Se lo scrittore è colui che spinge il linguaggio al limite, limite che separa il linguaggio dall’animalità, dal grido, dal canto, allora sì, bisogna dire che lo scrittore è responsabile di fronte agli animali che muoiono. Scrivere, non è per loro, non si scrive per il proprio gatto o cane, ma al posto degli animali che muoiono, significa portare il linguaggio a questo limite. E non c’è letteratura che non porti il linguaggio e la sintassi al limite che separa l’uomo dall’animale. Bisogna stare su questo limite, credo, anche quando si fa della filosofia. Si è al limite che separa il pensiero dal non-pensiero. Bisogna sempre essere al limite che separa dall’animalità, ma appunto in modo da non esserne più separati. C’è una inumanità propria al corpo ed allo spirito umano, ci sono dei rapporti animali con l’animale.”
Aveiro, sulla costa nord-ovest dei Portogallo viene spesso definita come la Venezia portoghese per i numerosi canali che la attraversano su cui si affacciano incantevoli case art nouveau e dove si dondolano i moliceiros, tipiche imbarcazioni a mezzaluna decorata molto simili alle gondole veneziane. Il colore è la predominante di questa cittadina di mare. Le case sono a righe gialle, rosse, blu, verde, oppure in tinta unita, ognuna diversa dall’altra. La stazione ferroviaria è interamente ricoperta di azulejos tipico ornamento dell'architettura portoghese e spagnola. Si tratta di piastrelle di terracotta maiolicata derivanti dalla tradizione araba, che adornano la gran parte delle case portoghesi. Gli azulejos del Portogallo non possono essere staccati dall'architettura alla quale appartengono ed alla quale i rivestimenti in piastrelle conferiscono la loro monumentalità. Essa è, in fondo, il risultato di un lavoro di squadra: mentre l'architetto si preoccupa della funzione che i rivestimenti murali, i pannelli e i pavimenti in ceramica devono svolgere, l'artigiano attraverso la realizzazione delle mattonelle dà un’interpretazione artistica coerente ed integrata con la funzione architettonica.
Troviamo alloggio all’ Hotel Palace, in pieno centro, dove siamo trattati benissimo spendendo il giusto.

Domani si parte alla volta di Lisboa.








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